Testo

"Ciao Donato. Artista coraggioso, generoso e geniale" - Il saluto di Dario e Jacopo Fo

 

 

Saluto di Dario Fo a Donato Sartori

Il mio rapporto di amicizia con Donato Sartori risale a molti anni fa, agli inizi della mia carriera teatrale, lo incontrai al Piccolo Teatro e lui mi fece scoprire la complessità e l'intelligenza che rendono una maschera della commedia dell'arte non solo un capolavoro estetico ma anche una macchina espressiva.

Donato era un grande artista e un grande artigiano e contemporaneamente una persona umile, modesta, aperta, generosa, piena di vitalità e ironia, con la quale mi sono sempre trovato bene a lavorare. La sua arte ha arricchito il mio teatro e insieme abbiamo realizzato spettacoli e mostre.

Mi ricordo a Kopenaghen esponemmo insieme maschere, dipinti, elementi scenici, raccogliendo un tale successo che gli organizzatori dovettero contingentare gli ingressi all'esposizione. Si creò una coda lunghissima che scendeva lungo le scale del palazzo fino in strada.

E non è stato solo un collega, ma anche un amico. Quando dopo il sequestro di Franca nostro figlio Jacopo si trovò ad attraversare un momento difficile e rischiava proprio di sbarellare completamente, mi trovai a chiedermi cosa potessi fare per aiutarlo. Ero convinto che solo proponendogli di realizzare qualche cosa di concreto con le mani potevo aiutarlo ad uscire da quello stato di ossessione del dolore. E mi venne naturale rivolgermi a Donato e a Paola Sartori in cerca di aiuto. E Loro lo accettarono come studente e lo accolsero in casa come un figlio. E sicuramente quell'esperienza lo aiutò molto.

Una cosa vorrei aggiungere, quando ho letto sui giornali che Donato si era suicidato perché era depresso sono restato incredulo. Ci eravamo visti il 23 marzo a Verona all'inaugurazione dell'archivio museo, dove sono esposte anche le maschere di Donato. Avevamo parlato della possibilità di organizzare ancora una volta insieme una grande mostra per rendere visibile l'immensa, straordinaria raccolta di maschere di tutto il mondo che i Sartori hanno messo assieme. E non mi era sembrato per nulla depresso.

Ho telefonato a Paola e Sarah e loro mi hanno raccontato la verità. Ho scoperto così una cosa che Donato era riuscito a tenere nascosta a tutti: aveva un tumore terminale e gli restavano pochi giorni di vita. Non era depresso, semplicemente non voleva infliggere alla sua famiglia il dolore di una lenta agonia. Così ha preferito tagliare corto e togliere il disturbo. Suicidarsi è stato per lui non la conclusione di una incapacità di vivere ma un atto d'amore. E sicuramente non avrebbe scelto un modo così traumatico di morire se l'Italia fosse un paese civile che consentisse a chi non ce la fa piu' a vivere, di morire in modo indolore e assistito come accade in Svizzera.

In questo momento noi tutti stiamo salutando Donato e onorandolo per quel che è stato per noi e per quel che ha fatto. E io voglio aggiungere che desidero portare a termine il sogno che avevamo fatto insieme, sulla possibilità di allestire una grande mostra sulle maschere, magari proprio nello spazio museale di Verona.

Ciao Donato!

 

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Saluto di Jacopo Fo a Donato Sartori

La notizia della scelta di Donato di morire mi ha lasciato un vuoto. Per me è stato un maestro. L'ho incontrato in un momento molto difficile, insieme a Paola e Sarah mi ha accolto nella sua casa laboratorio, un luogo per me spettacolare e mi ha insegnato la complessità.

Per me una maschera era semplicemente una macchia di colore, un disegno sul viso di un attore. Donato e Paola mi fecero vedere cosa c'era dietro, come era possibile, con carta di giornale e colla di farina, realizzare un materiale leggero e resistente capace di prendere qualunque forma.

Mi insegnarono anche che la maschera è una macchina che ingigantisce le espressioni del viso. Ma è anche una macchina per acchiappare la luce.

Donato mi fece vedere come con un martelletto di corno si poteva battere la maschera di cuoio, creando centinaia di piccolissime depressioni che intrappolavano la luce, la amplificavano oppure la cancellavano. Grazie ai piani nitidi e alle geometrie ben delineate era così possibile che la maschera cambiasse completamente espressione con movimenti minimi dell'attore. Una magia che anche oggi mi seduce ogni volta che osservo una maschera.

Per questo gli sono grato.

La morte di Donato ha lasciato a mezzo progetti che stavamo studiando insieme con Paola e Sarah; e che non ho nessuna intenzione di lasciar correre ora che lui è morto. Continueremo. Non smettere di insistere è un vizio di famiglia. Della mia e di quella di Donato.

 

Clicca qui per visitare il sito del Museo Internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori.

 

 


Comunicato Stampa - Addio al Maestro Donato Sartori

Donato Sartori è mancato sabato scorso e domani, venerdì 29, verrà allestita la camera ardente dalle 10 alle 16.30 al Museo Internazionale della Maschera in via Savioli, 2 ad Abano Terme.

Donato non voleva pianti e tristezze, lo saluteremo assieme a partire dalle 14 con la lettura delle testimonianze e un brindisi augurandogli buon viaggio.

Con molta sensibilità il Sindaco ha proclamato in questi giorni lutto cittadino, un grande omaggio che si unisce al cordoglio che la notizia ha suscitato in tutto il mondo artistico e ha promesso di realizzare una grande maschera da collocare nell’isola pedonale come da progetto di Donato.

 

Dal padre Amleto (1915-1962), celebre scultore pittore e poeta soprattutto grande innovatore e inventore con la rinascita della maschera teatrale in cuoio risultato di lunghi studi ed estenuanti tentativi, Donato riceve un grave testimone che gli permetterà di aprirsi alla nuova ricerca sulla maschera, spiraglio non solo nella dimensione teatrale bensì in quella pluridisciplinare delle Arti visive, della musica, del gesto, inoltrandosi perfino nel sociale. 

 

Dalle memorie di Donato:

Mio padre muore giovane, stroncato da un feroce cancro ai polmoni, ma lascia un ponderoso testimone che non posso esimermi di raccogliere. Ricordo le ultime istruzioni, suggeritemi con voce flebile , che mi proiettavano a forza nella sfera internazionale poco più che ventenne. Per questa ragione, frequenti furono i viaggi all’estero, soprattutto a Parigi, caput mundi della cultura e dell’arte, per continuare la ricerca di una mia propria identità artistica che piano piano venivo assumendo con la frequentazione dei compagni e docenti dell’École de Beaux-Arts e soprattutto per assistere alle lezioni dell’amico Jacques Lecoq inerenti a “l’architettura del movimento”, straordinaria formula che, ante litteram, poneva le basi ad una sorta di interdisciplinarietà delle arti racchiudendo in sé teatro, architettura, arti visive e naturalmente il gesto inteso nella più sublimata definizione del senso. Proprio qui venni a contatto con Cesar (Cesare Baldaccini) che aveva l’aula-laboratorio attigua a quella di Jacques nella medesima accademia delle arti parigina. Lo straordinario scultore, fu membro di uno dei movimenti artistici più rappresentativi del secolo, il Nouveau Réalisme, corrente d’avanguardia ideata e gestita dal famoso critico Pierre Restany che agli albori degli anni Sessanta raccolse attorno a sé una pletora di giovani artisti destinati a divenire, da lì a breve, icone dell’avanguardia artistica mondiale: oltre a Cesar, Arman, Christo, Clyne, Tinguely e altri. Qui nella Parigi dei primi anni Settanta prese a formarsi nella mia mente la nuova idea di maschera più legata a quelle istanze politico-sociali che venivano affacciandosi nell’Italia tormentata post-sessantottina. La maschera del volto, inventata da Amleto, assume altre dimensioni quale mutante temporale e diviene maschera totale impossessandosi del corpo intero fino a raggiungere lo stravolgimento dello spazio e del tempo. Nasce così, ai primordi della nuova era digitale, il “mascheramento urbano”, la maschera della città che si avvale delle più sofisticate tecnologie virtuali e si allinea con le ricerche contemporanee di un futuro prossimo. Ecco che il seme sparso da Amleto in un tempo non troppo lontano germoglia e si diffonde quotidianamente nelle più disparate aree culturali del mondo intero nell’indefessa attività degli errabondi componenti del Centro Maschere e Strutture Gestuali.

 

Nel 1979 fonda il Centro Maschere e Strutture Gestuali assieme all’architetto Paola Piizzi, poi sua moglie, ed allo scenografo Paolo Trombetta e, da qualche anno, arricchito dalla presenza della figlia Sarah.

Questo organismo culturale si occupa ancor oggi della maschera etno-antropologica, la maschera di teatro dall’antichità fino ai nostri giorni e delle più recenti ricerche pluridisciplinari di Donato riguardo al mascheramento urbano e le strutture gestuali. Iniziano da subito tournées in Europa in cui venivano sviluppate attività didattico-laboratoriali, mostre, produzioni di maschere per nuovi spettacoli teatrali e la progettazione di maschere urbane e spettacoli “en plain air”; spesso i seminari venivano accompagnati da collaborazioni con attori, performer e artisti visuali di tutto il mondo.

Nel 1980 Donato Sartori viene invitato dal direttore Maurizio Scaparro a partecipare alla Biennale-Teatro di Venezia dove realizza la grande installazione-performance a Piazza San Marco chiamata “Ambientazione” con la partecipazione di quasi centomila persone. Questi mascheramenti urbani furono poi portati in altre città: da Genova a Rio, da Trieste a Napoli, da Nancy a Milano e poi Bologna e Firenze, Reims e Singapore, Tokyo e Amsterdam ecc. ecc. ove ogni città richiedeva uno specifico progetto unito a verifiche delle istanze sociali, storiche, culturali ed architettoniche.

Dal 1996 al 2002 viene chiamato in Svezia a dirigere un laboratorio permanente (Maskenverkstaden), tenendo seminari sulla maschera teatrale e conducendo ricerche storiche sulle maschere medioevali nordiche in collaborazione con docenti universitari, studiosi e ricercatori; importante fu la ricerca e produzione di maschere per la trilogia di Eschilo “L’Orestea” diretta da Peter Oskarson che gli ha permesso di effettuare vari viaggi di studio nei luoghi previsti per la ricerca storica e la messa in scena dell’opera greca: in India, in Mozambico, in Grecia e nei siti della Magna Grecia per conoscere e sperimentare ambienti, teatri e luoghi religiosi in essa citati.

Per mettere a punto le 140 maschere realizzate con nuove tipologie e tecniche costruttive, sperimentò approfonditamente l’acustica prevista per i cori greci e le mise a confronto con quelle realizzate oltre cinquant’anni prima dal padre Amleto Sartori con la regia di Jean-Louis Barrault per la medesima tragedia.

 

Come suo padre, oltre alla scultura ed all’insegnamento, si dedicò alla maschera teatrale in cuoio continuando ad evolverla e creandone sempre di nuove man mano i registi e gli artisti emergenti glielo richiedevano, mai interrompendo la collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano, la Scuola parigina di Jacques Lecoq e altri ancora perseguendo una tecnica e metodologia, invariate dal 1946, che costituiscono il programma del Seminario Internazionale della Commedia dell’Arte che ogni anno ha luogo ad Abano a cura del Centro maschere e Strutture Gestuali.

 

Quest’anno, fra poche settimane, inizierà la 31° edizione orbata del suo direttore, ma non dei suoi insegnamenti. Paola, la moglie, e Sarah la figlia con la storica equipe del Centro Maschere daranno nuovo vigore a questa attività e a quelle che seguiranno perché se ne è andato l’uomo ma non l’artista come già avvenuto con Amleto. Allora il testimone passò al figlio Donato ora, con la figlia Sarah, si apre la terza generazione di questa famiglia d’arte che tanto ha dato alla cultura teatrale. La moglie, che ha sempre condiviso le varie attività culturali, sarà il trait d’union di questo storico passaggio continuando il lungo viaggio personale ed artistico intrapreso con Donato tanti anni fa facendo sua la curiosità intellettuale, l’arte oratoria, la tenacia e la voglia di trasmettere il sapere del compagno di una vita.

Questa instancabile ricerca e creazione nonché la raccolta di opere, maschere, documenti, oggetti, provenienti da tutto il mondo e l’attività artistica che si snoda attraverso una serie di sperimentazioni e ricerche assai varie e complesse, ha fatto della creazione di maschere una sorta di “unicum” a livello internazionale ed è stata premiata con l’assegnazione da parte del Comune di Abano Terme della seicentesca Villa veneta Trevisan Savioli che ospita il Museo Internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori, inaugurato a dicembre 2004 il Museo è stato tenuto a battesimo da una prima mondiale realizzata da Dario Fo e Franca Rame.

Qui sono esposte le opere dei Sartori, raccolte e realizzate in oltre ottant’anni di attività artistica; in questo ambito vengono ospitate anche rassegne teatrali, seminari, cinema e video, attività didattiche, inoltre, negli spazi museali dedicati ad esposizioni temporanee vengono promosse mostre e spettacoli concernenti la cultura di altri popoli e civiltà, nel quadro di scambi culturali con musei italiani e stranieri e con le strutture culturali degli altri Paesi del mondo.

La moglie Paola Piizzi racconta con commozione gli ultimi tragici attimi vissuti accanto al Maestro, simbolo stesso della maschera nel mondo. «Bisogna essere pieni di vita per poter fare un simile gesto. Era un malato terminale, non aveva speranze. Non c'erano altre possibilità di salvarsi. Quando ha focalizzato tutto ciò ha deciso di morire come ha vissuto, con grande dignità e con grande forza interiore. La vita è sempre trasformazione, proprio perché è vita. È un gesto che fa male, ma si può capire. Si deve capire. Togliendosi la vita ha dimostrato grande amore per tutti noi, anche se il dolore è infinito e il vuoto che lascia è immenso. Era un coraggioso, un uomo generoso, di grande dignità. Persona geniale, curiosa, eclettica per lui non ero solo una moglie, ma la compagna di vita e per nostra figlia Sarah ha dato sfogo alla sua arte fino agli ultimi momenti, dipingendo per lei le porte della casa dove vive. Ora stiamo percependo una grande vicinanza da parte di un’incredibile moltitudine di persone : è come fossimo immersi in un oceano di amore. Siamo una famiglia di artisti che ama l'arte. Continueremo a portare avanti i progetti. Un giorno ha detto a me e a nostra figlia Sarah “Adesso tocca a voi”.

“Ecco, siamo pronte!”.

 

Dal sito web del Museo Internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori:

Carissimi tutti, vogliamo darvi qualche informazione in più per la giornata di venerdì 29 aprile, durante la quale sarà possibile dare l’ultimo saluto al Maestro Donato Sartori (dalle ore 10.00 alle 16.30 al Museo in Villa Savioli).

Per chi lo desidera a partire dalle ore 14.00, sarà possibile portare una propria testimonianza da condividere con gli altri, che può essere un breve scritto, una musica o un gesto simbolico o altro.

Sappiamo però che sarete in tanti a voler omaggiare il Maestro Donato Sartori, pertanto vi invitiamo caldamente a cercare di rendere facile la condivisione della testimonianza, pensando a qualcosa di semplice e breve in modo da lasciar spazio a tutti.

Nel caso in cui voleste portare e condividere la vostra testimonianza vi invitiamo a scrivere a questa email [email protected] e [email protected] entro le ore 17.00 di giovedì 28 aprile. Nelle nostre possibilità cercheremo di venirvi incontro, ma tenente in considerazione anche il breve tempo e la complessità nell’organizzazione della giornata. Nel caso in cui non fosse possibile dare spazio a tutte le testimonianze durante la giornata di venerdì, sarà a discrezione della famiglia Sartori dare priorità alle più significative.

Per le persone che per distanza geografica o altre ragioni, non riusciranno a partecipare fisicamente alla giornata di venerdì 29, ma volessero comunque contribuire a rendere omaggio al Maestro, sarà possibile inviare via email ([email protected]) o via posta (Museo Internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori, Via Savioli, 2 – 35031 Abano Terme PD, Italy) il proprio contributo su ogni tipo di formato (testuale, video, musicale o quant’altro) che andranno successivamente ad essere parte di un Dossier dedicato al Maestro Donato Sartori.

Desideriamo condividere con tutto il mondo questo momento e il ricordo di Donato. Un grazie a tutti per la partecipazione di questi giorni.

 

 

Paola e Sarah Sartori

 


DIARIO D'ARTISTA: PRESENTAZIONE DEL LIBRO "UN UOMO BRUCIATO VIVO" A MILANO

Si è svolta in Feltrinelli la presentazione del libro "Un uomo bruciato vivo" (Chiarelettere), scritto con Florina Cazacu, figlia di Ion, protagonista della vicenda che ha sconvolto Dario Fo e Franca Rame e che finalmente vede la pubblicazione, perché ciò non si ripeta mai più.

 

 

Nella foto, da sinistra: Florina Cazacu, Lorenzo Fazio, Dario Fo e Graziano Sirressi.

Più tardi è intervenuto anche il Console Rumeno Dott. George Gabriel Bologan.


Foto e testo del Concerto di Natale a San Vittore con Dario Fo e l'Orchesta Archistorti

 

UNA FAVOLA IMPOSSIBILE:

testo da concerto per l’orchestra ‘Archistorti’ di Reggio Emilia

La neve stava scendendo fitta da ore. Eravamo alla fine di gennaio e fino ad allora non ne era caduto nemmeno un fiocco. Ma adesso finalmente ci ripagava con un’abbondanza a dir poco esagerata. Un gruppo di ragazzini uscendo di scuola invadeva le strade dove le auto in sosta erano ormai coperte da un manto di neve mai veduto. Quella brigata di figlioli si trovò a camminare sui tetti delle vetture sepolte. Gli autobus si erano bloccati, i viaggiatori con fatica erano risaliti sulla coltre di neve e messi in salvo. I ragazzini, raccogliendo bracciate di neve a volontà, si buttarono subito a costruire pupazzi. In un attimo erano già riusciti a modellare un personaggio di grandi dimensioni e si apprestavano a fabbricarne altri e altri ancora. Tutta quella neve aveva ormai cancellato le strade, i crocevia, le piazze, e anche il fiume s’era trasformato in una lastra di ghiaccio sulla quale si era posata una quantità impossibile di neve....

(continua a leggere su ilfattoquotidiano.it clicca qui)


Progetto Casa delle Diverse Abilità (Help us to build a house for people with special needs!)

All’interno dell’Ecovillaggio Solare di Alcatraz vogliamo costruire una casa che oltre ad essere atossica e ad alta efficienza energetica (bolletta zero per elettricità, riscaldamento e refrigerazione estiva) sia pensata come luogo di sperimentazione delle più avanzate tecnologie che permettono a persone diversamente abili di poterla abitare in modo autonomo.

Vogliamo collaborare con associazioni e cooperative di disabili per arrivare a realizzare un appartamento privo di barriere architettoniche e dotato di tutti gli accorgimenti utili a una fruizione soddisfacente per portatori delle più diffuse disabilità. Ad esempio arredi ergonomici, percorsi leggibili per non vedenti, sistema demotico verbale con comandi vocali per gli impianti (temperatura, areazione ecc). Inoltre vogliamo dotare la casa di mezzi di trasporto innovativi come la carrozzina dotata di sistema Segway, capace di salire le scale e di permettere spostamenti in posizione eretta. 

Questo progetto è patrocinato dall’associazione Onlus il Nuovo Comitato un Nobel per i Disabili, fondato da Dario Fo e Franca Rame.
Il costo della costruzione di 96 mq commerciali e delle relative infrastrutture, dotazioni energetiche, 2.000 mq di terreno, e quota di proprietà condominiale (piscina calda e fredda, sala multifunzionale di 165 mq, lavanderia, 230.000 mq di parco) è di euro 250.000, ai quali vanno aggiunti 200.000 euro di dotazioni tecnologiche e arredi.
Su questa iniziativa il Comitato un Nobel per i Disabili sta cercando sponsor pubblici e privati e apre una sottoscrizione con un contributo di 50mila euro.

Lanciamo quindi una sottoscrizione per raccogliere la cifra di 450.000 euro.

 L’appartamento sarà costituito da 2 stanze da letto, 1 bagno e un soggiorno-cucina open space. La gestione dello spazio e la proprietà saranno del Comitato Nobel per i Disabili. Le stanze verranno affittate a 25 euro a notte a persona, qualora gli ospiti abbiano la possibilità di pagare. Detratti i costi di gestione tutto il ricavato verrà utilizzato per offrire soggiorni gratuiti o a tariffe ridotte a persone diversamente abili e appartenenti a fasce sociali economicamente disagiate.
 

È possibile fare un versamento per contribuire alla realizzazione di questo grande progetto al NUOVO COMITATO IL NOBEL PER I DISABILI ONLUS 
(Località Santa Cristina 53, 06024 Gubbio PG. Codice fiscale 92014460544)
tramite:
 
CONTO PAYPAL O CARTA DI CREDITO

 

BONIFICO BANCARIO

Intestato a Nuovo Comitato il Nobel per i Disabili
 
BANCA POPOLARE ETICA
 
Codice Iban  IT15L0501803000000000137020
 
Codice Bic  CCRTIT2T84A
 
VAGLIA POSTALE
 
Beneficiario  Nuovo Comitato il Nobel per i Disabili 
 
Indirizzo  Località Santa Cristina, 53 -  06024 Gubbio (Perugia)
 
 
 
 

TESTO IN INGLESE:

Help us to build a house for people with special needs!

We would like to build a non-toxic and energy efficient house within the Solar Ecovillage of Alcatraz (no electric power, heating or cooling bills). We will experiment with modern technological enhancements which allow people with special needs to live here independently. We will cooperate with special needs agencies and organizations in order to achieve a home with no barriers or limitations and fully equipped with special features to assist with most disabilities, such as ergonomic furnishings, special readings for blind people, domotic systems with verbal commands for air flow and temperature control, etc. We will also add innovative transportation devices such as the special Segway system wheelchair which can take you up the stairs and allow upright movements.

This project is sponsored by the Onlus organization "Onlus Il Nuovo Comitato Il Nobel per i Disabili" founded by Dario Fo and Franca Rame.

The unit will be 96 mq with relevant infrastructures and energetic features and 2000 mq grounds in addition to the common areas (heated and cold swimming pool, 165 mq common lounge, laundry room, 230,000 mq park. The construction costs will be 250,000 Euros and the special technological features and furnishings will amount to 200,000 Euros.

"Comitato un Nobel per i Disabili" is sourcing public and private sponsors and has subscribed for 50,000 Euros. We would like to find further subscriptions for a total of 450,000 Euros.

The unit will comprise 2 bedrooms, 1 bathroom and living room with kitchen area and will be managed by the organization. The rooms will be rented out at 25 Euros per person per night if the guests can pay. Once all management costs have been covered, any gains will be utilized to offer free or low cost holidays to people with special needs or social groups with financial difficulties.

You can help us achieve this goal!

 
 


Orchestra Archistorti, i giovani musicisti suonano a San Vittore a fianco di Dario Fo

Orchestra Archistorti, i giovani musicisti suonano a San Vittore a fianco di Dario Fo

Il gruppo di 32 bambini diretto da Tiziana Caselli chiude la tournée nel carcere di Milano dove il giorno dell'antivigilia di Natale suonerà per detenuti e detenute. Come padrino d'eccezione ci sarà l'attore premio Nobel

di | Reggio Emilia | 22 dicembre 2013

 

 

Bambini che suonano per altri bambini, ricoverati in un reparto d’ospedale emiliano, ma anche per coetanei di una scuola elementare e per le detenute e i detenuti del carcere milanese di San Vittore accompagnando la narrazione del premio Nobel Dario Fo. Sono gli appuntamenti dei piccoli musicisti Orchestra Archistorti, trentadue elementi diretti da Tiziana Caselli e alle prese con una tournée natalizia che non vuole essere solo un saggio di fine anno, ma un progetto basato sui diritti umani che viene da lontano, dal Venezuela, e che ha attecchito a Reggio Emilia. È da questa città che infatti hanno iniziato con la prima performance, presso il reparto di pediatria dell’Arcispedale Santa Maria Nuova. Musica e parole per i degenti della struttura reggiana sono della “Suite in bianco vestita” per orchestra mentre la voce narrante sarà quella di Sandra Righi, direttrice artistica di progetti che hanno coinvolto altre città emiliane, come Modena.

Il 21 dicembre, l’appuntamento invece è  stato doppio: al mattino il pubblico è stato quello delle classi quarte della scuola elementare Don Milani, sempre a Reggio Emilia e questa volta la narrazione è stata curata dalle madri dei musicisti dell’Orchestra Archistorti.  In serata, invece, la performance sarà ripetuta nella sala della Biblioteca Marco Gerra. L’ultima delle date dei concerti è prevista per l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre, a Milano, con una platea composta dalla popolazione carceraria dell’istituto di pena lombardo e, appunto, la partecipazione dell’uomo del palcoscenico impegnato per eccellenza, Dario Fo. L’evento, organizzato con la partecipazione della Libera Università del Teatro a San Vittore, è il secondo che vede un’esibizione dell’intellettuale italiano insignito nel 1997 della più importante onorificenza mondiale per la letturatura. E, per lui, i bambini emiliani dell’Orchestra Archistorti sono una realtà da promuovere tanto che già da lui erano stato invitati a esibirsi in passato a Palazzo Reale.

Ma Fo non è l’unico nume tutelare dei piccoli musicisti di Reggio. Altro nome di peso è quello del maestro Claudio Abbado, colui che nel 2010 ha voluto portare anche in Italia il progetto nato nel 1975 in Venezuela per volontà di un educatore e attivista politico, José Antonio Abreu. È lo stesso accademico che ha fatto della didattica musicale uno dei propri strumenti d’intervento creando il cosiddetto “el sistema”, modello per l’educazione pubblica e gratuita rivolta a bambini e ragazzini senza differenza di ceto che nel Paese latino americano ha dato vita a 125 orchestre e cori di voci bianche. Partendo da questa realtà, dunque, nel 2011 l’idea di Abreu e la sua applicazione pratica sono sbarcata in Italia e a Reggio Emilia ha riguardato tre gruppi di bambini delle scuole elementari guidati, come spiegano i responsabili della Archistorti, in un “progetto non solo culturale e artistico, ma fortemente sociale ed educativo”. E così nel tempo si arriva alla composizione attuale dell’orchestra, fatta di trentadue elementi, alcuni dei quali già frequentano il primo anno delle scuole medie e che suonano strumenti ad arco, come violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Musica, dunque, ma anche, viene sottolineato “in primo piano quelli che sono i diritti umani, la sensibilizzazione verso i più fragili, i più deboli, verso le differenze”.


DARIO FO PER I LAVORATORI BURGO - diretta skype con "La strada giusta per il Lavoro" - 21 dicembre ore 18

L’attuale situazione di profonda crisi che ha colpito l’Italia, il nostro territorio e  il comparto economico e industriale mantovano è purtroppo cronaca quotidiana.
Accanto alla chiusura delle grandi industrie mantovane che sono state per generazioni bacini di occupazione per le nostre famiglie,  lo sguardo sulla   situazione nazionale non fa presagire un futuro di opportunità e speranza migliori.
Per questo   sindacati e cittadini, organizzazioni politiche e persone, intendono offrire alla città e ai lavoratori un evento di musica, teatro , letture e conversazioni con la partecipazione  di gruppi e associazioni locali e non solo  che sia  momento culturale ma soprattutto possa fare sentire la vicinanza della città a quei lavoratori che hanno perso il lavoro o che sono in condizioni economiche precarie, gesto di solidarietà e partecipazione, in un periodo in cui mancanza di certezze e prospettive per il futuro ancor più duramente sono vissuti dalle famiglie.
"La strada giusta per il lavoro" è il titolo dell'iniziativa che vedrà sul palco dell'ARCITOM (P.zza Benotello 1 - Mantova) Massimo Cirri di Caterpillar Radio 2 a parlare del "tempo senza lavoro", Angelo Ferracuti parlerà con alcuni testimoni di incidenti sul lavoro e parlerà della ricerca condotta nel suo libro di Einaudi. Dario Fo e Gad Lerner faranno un intervento via Skype per portare solidarietà ai lavoratori cassintegrati e licenziati della Burgo e della azienda petrolifera Yes.
Crediamo che tutti, istituzioni,  organizzazioni sindacali e politiche, debbano impegnarsi per dare un segno a queste persone offrendo impegno politico , amministrativo, partecipativo e , perchè no, anche l’occasione di stare insieme lietamente per una serata intera.
 
Questa iniziativa vuole essere uno dei tanti segni che vogliamo dare  a chi improvvisamente ha visto la sua vita lavorativa interrotta senza prospettive future .

L'iniziativa partirà alle 17 e andrà avanti tra musica e interventi fino alle 24.
Dario Fo interverrà da Milano alle 18.
Diretta di Radio Popolare a cura di Fabio Fimiani


L'altro Mandela: tagli ai privilegi e un solo mandato.

 

di Dario Fo 

il Fatto Quotidiano 12 dicembre 2013

L’11 febbraio 1990 Nelson Mandela, in seguito alle continue manifestazioni e alle pressioni dei democratici, anche bianchi, del Sudafrica, venne liberato dalle carceri nelle quali aveva trascorso gran parte della sua vita. Di lì a poco ci furono le nuove elezioni e l’ergastolano fu eletto Presidente del Sudafrica. Suo vice fu nominato l’ex presidente bianco, De Klerk, che aveva firmato la sua liberazione. Mandela, appena eletto, entrando nel salone–ufficio assegnato al Presidente del Sudafrica esclamava: “Sarà difficile che mi abitui a questi spazi, vengo da una cella di dimensioni molto ridotte, col cesso incluso”. Quindi, rivolto al suo segretario, chiede: “Visto lo sfarzo, quanto è la paga?”. Il segretario mostra la parcella scritta su un foglio. Mandela rimane un attimo senza fiato e ed esclama: “Che esagerazione! No, non posso accettarlo!”. All’istante a tutti quanti noi italici vengono in mente le reazioni degli ultimi eletti al parlamento quando, agli inizi di quest’anno, qualche onorevole fece notare il disastro da cui si trovavano travolti i pensionati, i licenziati delle fabbriche chiuse, smantellate, coi macchinari spediti all’estero. “Dovremmo far qualcosa, dimostrare la nostra solidarietà!” esclamò uno dei neoeletti. “In che senso solidarietà?” chiese impallidendo il solito veterano della poltrona garantita. E la risposta fu: “Cedere una parte del nostro stipendio per soccorrere gli esodati e i giovani senza alcuna prospettiva di lavoro”. Dopo qualche secondo, nella sala non c’era più nessuno, salvo il giovane autore dell’insana proposta.

In una scena all’inizio dello stupendo film Invictus di Clint Eastwood, il partito di Mandela, riunito a congresso, decide di abolire i colori e lo stemma dalle casacche dei giocatori della nazionale di rugby, lo sport più popolare in Sudafrica, dove c'era un solo nero. Votazione per alzata di mano. Tutti gli uomini di colore levano le braccia in alto. I simboli della squadra, che oltretutto si trova in una crisi disperata, vengono annullati. Allora entra in scena Mandela, prende la parola e, con tono deciso, si dice contrario a quella risoluzione. “Dovremmo ripristinare gli Springboks. Reintegrare il loro nome, il loro emblema e i loro colori immediatamente. E vi dico perché.

A ROBBEN ISLAND, tutti i miei carcerieri erano bianchi. Li ho studiati, ho imparato la loro lingua, ho letto i loro libri, la loro poesia. Occorreva che conoscessi il mio nemico per poter prevalere su di lui. E infatti abbiamo prevalso, non è così? Tutti quanti noi abbiamo vinto. I bianchi non sono più i nostri nemici, oggi, sono i nostri fratelli sudafricani, i nostri concittadini in democrazia. E a loro stanno a cuore gli Springboks. Se glieli portiamo via noi li perderemo, ci comporteremo come da sempre hanno fatto loro con noi. No. Noi dobbiamo essere migliori. Dobbiamo sorprenderli con la comprensione, con la moderazione e con la generosità.  È il momento di costruire questa nazione, usando ogni singolo mattone a nostra disposizione”. Ci fu una nuova votazione e, per un solo voto, la proposta di Mandela, Venne approvata.

Ciò che vi abbiamo proposto non è il risultato di una sceneggiatura ad effetto facile: neanche una parola è frutto di fantasia e melodramma. In questi giorni gran parte dei giornalisti mistificano per eccesso il personaggio. Si tende a presentarlo come se si fosse trattato di una specie di San Francesco di colore che impone ai seguaci di abbandonare ogni spirito di vendetta. Un insolito politico straordinariamente illuminato e propenso al perdono e alla pacificazione ad ogni costo.

Mandela, fin da prima della sua liberazione, si estranea completamente come se non avesse vissuto tutte le angherie patite e dice: “Quando la mia liberazione era prossima ho messo giù le tracce dei discorsi che avrei dovuto tenere, e man mano le parole “condanna”, “castigo” e soprattutto “vendetta” venivano cassate. A che scopo avrei deluso i miei fratelli che speravano, in memoria dei loro cari umiliati, torturati, e uccisi per anni, anzi secoli, che fosse data soddisfazione a quel popolo trattato come gli animali da allevamento? Ma il problema più importante era quello della costruzione di una comunità nazionale che non vivesse nella logica infinita della vendetta e delle ritorsioni. Il pericolo maggiore era quello di creare, in conseguenza del far giustizia ad ogni costo, una situazione di paura, anzi, di terrore nella totalità dei bianchi, i quali avrebbero preferito abbandonare il proprio paese piuttosto che subire una ritorsione”.

Quel comportamento fu di esempio a tutti i popoli. Soprattutto l’idea di creare tre commissioni di giustizia che avessero come compito quello di scoprire la verità sulle violazioni dei diritti umani. Non solo quelle messe in atto dai dominatori bianchi, ma anche quelle del movimento al quale apparteneva Mandela. E  in particolare fu istituita una commissione che si preoccupava di indurre chi aveva commesso violenze a dire la verità e soprattutto raccontarla davanti alle loro vittime. Solo confessando i propri delitti si sarebbe potuta ottenere l’amnistia. Ma ancor più si cercava di indurre le stesse vittime al coraggio di testimoniare le violenze subite. E qui esce una verità che pochissimi cronisti hanno avuto la dignità civile di raccontare. Cioè quanti furono gli amnistiati e quanti i condannati: i primi furono 849, mentre i condannati ammontarono a ben 5392.  Compresi alcuni vincitori, come l'ex moglie di Mandela, Winnie Madikizela.

Per concludere vogliamo sottolineare un atto di Mandela veramente eccezionale, unico, forse, nella storia delle grandi guide dei popoli. Egli, nell’atto stesso in cui accettava di ricoprire la carica di Presidente del Sudafrica dichiarava che sarebbe rimasto al potere per un solo mandato. E mantenne la sua parola. Anzi, alla folla di sostenitori che insistevano perché rinnovasse quell’impegno egli rispose: “No, non voglio assolutamente essere di esempio per un andazzo che normalmente si ripete in ogni società democratica: quello di gestire il potere ad libitum. Oltretutto ci sono giovani uomini politici che, sono sicuro, faranno meglio di me. Infatti, personalmente, ho mancato in più un’occasione, a cominciare dal problema della lotta all’AIDS, e da un’attenzione più decisa, direi drastica, contro la criminalità organizzata che sta ancora rovinando il mio paese”.

 

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